Qui si raccolgono molte voci, sedici interviste dedicate alla musica, che viene evocata, ricordata, pensata, immaginata, progettata, situandosi un attimo dopo, collocandosi un istante prima del fatto musicale.
È lecito, quando la voce appartiene al musicista, il dire e il fare sono la sua carne e il suo spirito, la più sonora sconfitta del signor Descartes, che al cospetto del cimento musicale non ha prove d’appello per la sua illuminata separazione tra corpo e mente.
Il commento sulla musica disgiunto dalla pratica, invece, è sempre in affanno e la sua condizione non muta quando il suo oggetto non è materia sonora, ma verbale, parole a loro volta dedicate alla musica, come in questo caso: riflessioni ad opera di musicisti.
Un largo raggio d’azione che paradossalmente vieta un’ulteriore riflessione sia perché il musicista è l’eccezione che conferma la regola sia a causa della natura stessa della musica.
Questo è il punto, poiché, in senso stretto, della musica non si può parlare e dovrebbe valere l’ormai antico divieto emanato da Wittgenstein, tacere se nulla si può dire. È vietato parlare della musica scritta, di cui tutto è detto nella partitura, sebbene, a rigor di logica, sarebbe lecito insinuarsi nel vuoto, nelle pause, in generale nelle indicazioni di tempo, o nei suggerimenti alquanto vaghi di certe annotazioni sul pentagramma del secondo Novecento. Limite speculare, invalicabile, si annida nell’improvvisazione musicale, per natura non incline alla formalizzazione e per quanto si intenda insistere in un implacabile inseguimento, la sua fuga sarà sempre inesorabile, evitando gabbie, lacci o prese, seppur temporanee, sempre che la stessa improvvisazione non finisca nella codificazione del genere, vizio al quale sa sempre meno resistere.
Alla parola scritta resta, a margine, la possibilità di progettare un’improvvisazione sul tema del vano rincorrere un ragionamento dentro la musica. Azione mimetica, fin dove è possibile.
Improvvisare ai bordi della musica stessa, costeggiandone il fluire, lì, lungo gli argini, seguendo il corso del fiume, ripercorrendo all’indietro il percorso fino all’origine della musica, o quantomeno accennando una congettura costruita in modo analogo, attraversando la grande foresta amazzonica lungo il corso del più grande fiume della Terra, anzi, in realtà, tuffandosi in una finzione, quella del romanzo “Los pasos perdidos” di Alejo Carpentier, scrittore e musicologo cubano. Storia di un musicologo a sua volta, di origine latino americana, che parte da New York alla ricerca di strumenti musicali primitivi nel cuore della selva amazzonica. Lungo il viaggio, insieme alla sua donna, Mouche, trova diversi compagni, un frate, un cercatore di diamanti, una donna india e un adelantado, termine che ai tempi della Conquista spagnola indicava il governatore di una provincia di frontiera. Superate varie prove di carattere mitico, giunge a Santa Monica de los Venadós, città fondata dall’adelantado, luogo, simbolo della Creazione, dell’origine, ma soprattutto in questo discendere giù nel passato, assiste alla nascita della musica. L’autore, in un certo senso, è uno stregone di una tribù india che tenta di strappare alla Morte un cacciatore morso da un serpente a sonagli. Il protagonista descrive questa scena: “…lo stregone comincia a scuotere una zucca piena di sassetti, il solo strumento conosciuto da questa gente, per tentare di mettere in fuga i mandatari della Morte. Tutti tacciono, nel silenzio rituale preliminare dell’opera magica, che porta al colmo la tensione generale. E nella immensa foresta piena già dei terrori notturni, nasce la Parola. Qualcosa anche di più della semplice parola, oramai: essa prende la voce di chi la esprime e anche quella che si attribuisce allo spirito da cui è posseduto il cadavere. Una sale dalla voce dello stregone, l’altra dal suo ventre… si alternano… Si odono portamenti gutturali, prolungati in ululati, sillabe, d’un tratto ripetute tante volte fino a creare un ritmo, trilli improvvisamente spezzati da quattro note che sono l’embrione di una melodia”.
Tutto è vano, però, ogni sforzo si infrange contro l’impossibile, l’inutile tentativo di riportare l’uomo in vita.
“Lo stregone ora si esaspera, vocifera, pesta coi piedi la terra in uno sfrenato furore imprecativo che è l’essenza profonda di ogni tragedia, tentativo primordiale di lotta contro le potenze della distruzione, che sconvolgono i calcoli dell’uomo. Mi sforzo di rimanere estraneo a tutto questo, di conservare le distanze. Eppure non posso sottrarmi all’orrendo fascino che questa cerimonia esercita su di me… nella bocca dello stregone, del mago orfico, rantola e si spegne convulsamente la Trenodia, tale, non altro è, veramente questa lamentazione funebre, lasciandomi abbagliato: io ho assistito in questo momento alla nascita della Musica”.
La nascita con la morte della musica, questo singolare intreccio che risale all’origine del mondo, al momento della scoperta del tempo, del suo scorrere, dell’intervallo che sospinge la fuoriuscita dal pre-umano, colloca la musica nell’ordine del magico, nel discorso che tenta da tempo immemore di dare risposte alle domande di sempre e che, nel farlo, ha concepito creazioni mirabili, le arti, ad esempio, dove riprodurre l’antica logica dell’ordine e del suo scompaginamento, di comporre e di improvvisare, giungendo fino alle riflessioni contemporanee che riscoprono la fisicità del suono e dell’evento sonoro, la percezione e la partecipazione che alimenta, lasciando scorrere le emozioni e poi le parole, le riflessioni, come nelle interviste qui raccolte, o le divagazioni, come nel caso di questa improvvisazione sul vano rincorrere un ragionamento dentro la musica.
Gennaro Fucile
Indice
Introduzione
Prefazione
Introduzione
Francesco Denini: La musica contemporanea tra sperimentazione e mercato
Biggi Vinkeloe: Percezione, memoria, altrove
Chris Brown: Suono, informatica, elettronica
Magnus Rosén: Le linee del basso
Carla Magnan: Composizione, musica, parola
George Haslam: Free jazz
John Russel: La narrazione
Evan Parker: Circolarità, alternanza
India Cooke: L’ascoltatore
Garrison Fewell: Musica, memoria
Peeter Uuskyla: La forma, il naturale
Lisle Ellis: L’immagine nel suono
Claudio Lugo: Il corpo, il suono
Donald Robinson: Tra fisicità e linguaggio
Stefano Pastor: Nel sonoro visivo
Roberto Masotti: Il gesto visivo sonoro
Attività letteraria e musica, performance e scrittura si intrecciano profondamente nell’attività artistica di Erika Dagnino.
I suoi più recenti lavori sono stati pubblicati nel 2009: i libri di poesia I Canti dell’Occhio e Dal fondo del metallo e il volume in prosa Gèr e Màl. Tra le sue collaborazioni si segnalano quella con il violinista Stefano Pastor, con cui nel 2007 ha pubblicato per l’etichetta inglese Slam l’opera multimediale Cycles, con il bassista e artista visivo Andrea Rossi Andrea, con il sassofonista inglese George Haslam, con il poeta e musicista inglese Anthony Barnett e il poeta americano Mark Weber. Suoi i testi del booklet (tradotti in inglese da Marco Bertoli) realizzato per il box di sei cd dell’Anthony Braxton Italian Quartet, Standards (Brussels) 2006, pubblicato nel 2009 (Amirani Records). Collabora a riviste letterarie e di cultura tra cui Quaderni d’Altri Tempi, la rivista di ricerca musicale Suono Sonda e il sito musicboom.it.
Ha tenuto performance poetico-musicali a New York con Dominic Ouval, Ken Filiano, Steve Dalachinky, Satoshi Takeishi, Jason Mears, Kevin Farrell, Mike Pride, Chris Welcome, Reuben Radding, Harris Eisenstadt, esibendosi, tra gli altri, in spazi quali Down Town Music Gallery, Bowery Poetry Club e The Stone.